La prima era una maschera

La prima volta che ho sentito parlare di termoformatura sottovuoto fu proprio in occasione dell’incontro con una maschera africana, di quelle che solitamente troviamo costruite in legno. Questa invece era leggera e sottile ma dall’aspetto molto simile all’originale.

Come poteva essere così uguale alla forma originale tanto da diventare una sua copia perfetta?
Era in plastica termoformata. Infatti questa tecnologia di trasformazione della materia plastica ha proprio questa caratteristica: copiare lo stampo e replicarlo.

Molteplici sono gli usi che se ne possono fare e rimanendo nel campo delle maschere guardate cosa può diventare unendo quest’ultime a dei led. Quaranta maschere identiche, provenienti da un’area di confine tra Congo e Uganda, sono collocate come piccoli monoliti, in ordine sparso, nello spazio all’aperto del Museo Archeologico di Francoforte. La luce diurna restituisce l’essenzialità della rappresentazione, una condizione d’attesa. Il rito prenderà vita quando la luce artificiale muterà, nel buio, i cromatismi delle maschere dando vita ad una danza ferma sostenuta dai suoni bi-vocali dei Tuva. RICHI FERRERO – Bwind Light Masks, 2010

Forse queste non saranno in plastica termoformata, ma in altri originali materiali; questa invece è proprio quella che incontrai più di … trent’anni fa